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Il protocollo TCP/IP, e la trasmissione dati su Internet - cenni storici: da Arpanet ad Internet: l'evoluzione della "Rete delle reti" - prima parte (a cura di Fabio Ruini)

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Introduzione

La successione di eventi, progetti, idee e protagonisti che, nel corso di una trentina d’anni, hanno portato alla nascita di Internet e alla sua evoluzione nella forma attuale, costituisce un capitolo molto affascinante, ma anche atipico, nella storia dello sviluppo tecnologico. Parte del fascino è legato al ruolo determinante che questa tecnologia ha svolto e sta ancora svolgendo nella cosiddetta 'rivoluzione digitale'.
In pochissimi anni, infatti, la rete, da esoterico strumento di lavoro per pochi informatici, é divenuta un mezzo di comunicazione di massa, che coinvolge quotidianamente milioni di persone in scambi comunicativi privati e pubblici, scientifici e commerciali, seri e ricreativi.
Nessuno strumento di comunicazione ha mai avuto un tasso di espansione simile.

Ma altrettanto affascinante è il modo in cui questa tecnologia è stata sviluppata. E qui entra in gioco l'atipicità cui facevamo cenno. Come gran parte delle innovazioni tecnologiche, anche le origini di Internet si collocano nel terreno della ricerca militare.
Queste sue radici, tuttavia, sono state assai meno documentate di quanto non sia avvenuto per altre tecnologie, e di quanto non sia mai stato attestato dalla variopinta storiografia presente sulla rete.
Una diffusissima leggenda metropolitana, vuole che Internet sia stata un frutto della guerra fredda strappato ai suoi destini guerrafondai da un manipolo di visionari e anarchici hackers (dove a questo termine restituiamo il senso originario di esperto informatico, in grado di restare giorni interi davanti ad uno schermo per far fare ad un computer ciò che ha in mente).
La realtà è stata diversa; eppure, come tutte le leggende, anche quella appena citata nasconde una sua parte di verità. Se è vero infatti che il primitivo impulso allo sviluppo di una rete di comunicazione tra computer distanti venne da ambienti legati all'amministrazione della difesa, la maggior parte delle innovazioni che hanno scandito l'evoluzione della rete sono nate all'interno di libere comunità di ricerca, quasi del tutto svincolate dal punto di vista professionale e intellettuale dalle centrali di finanziamento del progetto.
E ciascuna di queste innovazioni, proprio perché nata in tali contesti, è divenuta subito patrimonio comune. Internet insomma è stata sin dall'origine caratterizzata da un'ampia e soprattutto libera circolazione delle idee e delle tecnologie. A questo si deve la sua evoluzione, il suo successo e la sua sempre più determinante influenza sul modo di vivere odierno.
Il rischio di un’involuzione di questa natura, semmai, è assai più vicino oggi. Il successo e la diffusione planetaria (anche se la visione del pianeta propugnata da queste statistiche è alquanto sbilanciata verso il nord industrializzato), hanno infatti attratto enormi interessi economici e finanziari.
Tutti si affannano a trovare il modo per fare soldi con Internet e, naturalmente, per far soldi occorre impedire che le risorse circolino gratuitamente. Questo non vuol dire che la rete sia necessariamente destinata a divenire una sorta di supermercato digitale globale.
Né che lo sviluppo commerciale di Internet sia da considerarsi in sé un male. Ci preme solo ricordare che ciò che adesso è Internet è il prodotto della libera circolazione delle idee, della cooperazione intellettuale, della mancanza di steccati e confini. E che questo lato della rete deve continuare ad esistere, affinché Internet mantenga intatto il suo fascino e il suo interesse.
Per fortuna, i naviganti virtuali, anche ora che sono diversi milioni, continuano a condividere questa nostra convinzione.


La "preistoria" di Internet

Ripercorrere la storia della tecnologia è un’attività complessa. Forte è il rischio di cadere in visioni semplicistiche, e di concedere troppo ai tentativi di reductio ad unum. E’ però anche vero, che raramente lo sviluppo di una tecnologia e delle sue basi teoriche hanno un andamento lineare.
Ed è altrettanto vero che quasi mai le sue origini sono riconducibili ad un solo individuo, ad un unico progetto, ad un sistema teorico coerente.
Se questo è vero in generale, tanto più lo è per ciò che oggi chiamiamo Internet. Alla nascita vera e propria della rete, infatti, hanno contribuito diverse idee e altrettanti protagonisti, diversi dei quali lo hanno fatto soltanto in modo indiretto. Vediamo allora di individuare quali sono state le istanze che nel loro complesso costituiscono la “preistoria” di Internet.
Il contesto in cui si colloca questa preistoria é quello della “guerra fredda” e della contesa tecnologica che ne derivò tra Stati Uniti ed Unione Sovietica. Un evento simbolico di questa contesa fu la messa in orbita del primo satellite artificiale da parte dei sovietici, lo “Sputnik”, nel 1957.

Dopo il rapido superamento del gap nucleare, questo successo della tecnologia sovietica seminò nel campo occidentale, e soprattutto negli USA, una profonda inquietudine. La sicurezza della supremazia tecnico-militare su cui era fondato l'intero sistema ideologico americano era stata duramente scossa.
Per cercare di ricacciare immediatamente i timori di una vera e propria arretratezza, nell'ambito dell'amministrazione USA si concepì allora l'idea di creare un'agenzia il cui compito fosse quello di stimolare e finanziare la ricerca di base in settori che avrebbero potuto avere una ricaduta militare.
L'idea circolava in varie sedi, ma in particolare fu il Segretario alla difesa Neil McElroy a convincere il presidente Eisenhower della necessità che tale agenzia fosse messa alle dipendenze del Pentagono. Oltre al vantaggio di stimolare l'attività scientifica con finalità strategiche, essa avrebbe avuto anche il ruolo di ridurre le tensioni tra le varie armi nella spartizione dei fondi dedicati a ricerca e sviluppo.
Nonostante l'opposizione delle gerarchie militari, nel 1958 il Congresso approvò la costituzione e il finanziamento della “Advanced Research Projects Agency”, l'ARPA, la cui sede fu stabilita nell'edificio del Pentagono a Washington. Appena costituita, l'ARPA indirizzò le sue attività nella ricerca aerospaziale: in fin dei conti, tutto era cominciato dalla paura suscitata dal lancio dello Sputnik.
Ma quando pochi mesi dopo tutti i programmi spaziali vennero trasferiti (insieme agli ingenti finanziamenti) alla neonata NASA, per i dirigenti dell'ARPA fu necessario trovare una nuova area di sviluppo.
Tale area fu individuata nella giovane scienza dei calcolatori. Un impulso decisivo in questa direzione venne dal terzo direttore dell'agenzia, tale Jack Ruina, il primo scienziato chiamato a ricoprire quel prestigioso incarico.
Ruina introdusse uno stile di lavoro assai informale, e chiamò a lavorare con lui colleghi assai bravi ma alquanto fuori degli schemi militari. Tra questi un ruolo fondamentale fu svolto da J.C.R. Licklider, uno dei personaggi più geniali e creativi della storia dell'informatica.

J.C.R. “Lick” Licklider

Di formazione psicologo, Lick (così lo chiamavano i suoi amici) passò ben presto ad occuparsi di computer nei laboratori del MIT di Boston. Ma a differenza di tanti altri ricercatori di questo campo, il suo interesse si rivolse subito al problema delle interfacce uomo-computer ed al ruolo che i calcolatori avrebbero potuto avere per lo sviluppo delle facoltà cognitive e comunicative dell'uomo (ben trenta anni prima che questi concetti divenissero centrali nel settore informatico).
Egli espose le sue idee al riguardo in un articolo uscito nel 1960 intitolato “Man-Computer Symbiosis”, che lo rese subito famoso. Appena giunto all'ARPA, iniziò a creare una rete di collegamenti tra i maggiori centri di ricerca universitari nel settore informatico, creandosi un gruppo di collaboratori che battezzò secondo il suo stile anticonformista “Intergalactic Computer Network”.
Tra i molti progetti che promosse vi furono lo sviluppo dei primi sistemi informatici concorrenti basati sul time-sharing e sulla elaborazione interattiva. Ma in uno dei suoi memorandum apparve anche per la prima volta l'idea di una rete mondiale di computer.
Lick rimase molto poco all'ARPA. Ma il suo passaggio lasciò un segno così profondo da influenzare tutto lo sviluppo successivo di questa agenzia. Tra le tante eredità, l'idea di far interagire i computer in una rete fu poi raccolta da Bob Taylor, giovane e brillante scienziato chiamato dal successore di Lick, Ivan Sutherland, anche lui proveniente dal MIT.

La Rand Corporation

Lasciamo per il momento la storia dell'ARPA, e dei tanti scienziati (in gran parte provenienti dal MIT) che vi hanno lavorato, per passare ad un altro dei centri legati alla ricerca militare, collocato questa volta sulla West Coast: la Rand Corporation.
La Rand era un'azienda californiana nata come costola della Douglas Aircraft, e resasi autonoma nel dopoguerra allo scopo di proseguire gli sforzi di ricerca applicata che erano stati avviati nel corso del secondo conflitto mondiale. Gran parte dei suoi studi e ricerche erano commissionati dall'aviazione, e il settore aeronautico costituiva il dominio principale delle sue attività di ricerca e consulenza.
Nel 1959 venne assunto alla Rand un giovane ingegnere che aveva lavorato nel settore delle valvole per computer: Paul Baran. Egli fu inserito nella neonata divisione informatica, dove si mise a lavorare su un problema che da qualche tempo veniva studiato dai tecnici della Rand: come riuscire a garantire che il sistema di comando e controllo strategico dell'esercito rimanesse, se non intatto, almeno operativo in caso di un attacco nucleare.
Le reti di comunicazione tradizionali su cui si basava l'intero apparato di controllo militare, infatti, erano estremamente vulnerabili. Lavorando su questo problema, Baran giunse a due conclusioni: la prima era che una rete sicura doveva avere una configurazione decentralizzata e ridondante, in modo che esistessero più percorsi possibili lungo i quali far viaggiare un messaggio da un punto all’altro; la seconda, legata alla prima, era che il sistema di telecomunicazioni doveva basarsi sulle nuove macchine di calcolo digitale, in grado di applicare sistemi di correzione degli errori e scelta dei canali comunicazione.

Sviluppando i suoi calcoli Baran aveva elaborato un modello in cui ciascun nodo fosse collegato ad almeno altri quattro nodi, e nessun nodo avesse la funzione di concentratore, al contrario di quanto avveniva per la rete telefonica. In questo modo, ogni nodo poteva continuare a lavorare, ricevendo, elaborando e trasmettendo informazioni, anche nel caso in cui alcuni fra i nodi vicini fossero stati danneggiati.
L'assenza di un nodo centrale inoltre eliminava ogni possibile obiettivo strategico la cui distruzione avrebbe compromesso il funzionamento dell'intera rete. Oltre all'idea di una rete decentrata e ridondante, Baran ebbe anche un'altra intuizione geniale: piuttosto che inviare un messaggio da un nodo all'altro come un unico blocco di bit, era meglio dividerlo in parti separate, che potessero viaggiare attraverso vari percorsi verso la destinazione, dove sarebbero stati ricomposti.
Convinto della bontà del suo progetto, intorno agli anni 60 iniziò a pubblicare vari articoli; ma le sue idee trovarono una decisa opposizione, soprattutto da parte di quella che avrebbe dovuto esserne la principale destinataria: la AT&T, monopolista delle telecomunicazioni. Dopo vari tentativi di convincere i tecnici del colosso industriale a prendere in esame il progetto, nel 1965 Baran si diede per vinto e si dedicò su altri progetti.


Donald Davies ed il “packet switching”

Proprio in quegli anni, in modo del tutto indipendente, un fisico inglese che lavorava al National Physical Laboratory, Donald Davies, era giunto a conclusioni assai simili a quelle di Baran, seppur partendo da premesse diverse.
Il suo problema, infatti, era la creazione di una rete pubblica abbastanza veloce ed efficiente da mettere a disposizione le capacità di elaborazione interattiva dei computer di seconda generazione anche a distanza, senza che le differenze di sistema operativo condizionassero la comunicazione.
La soluzione trovata da Davies si basava sull'idea di suddividere i messaggi da inviare in blocchi uniformi: in questo modo un computer avrebbe potuto gestire l'invio e la ricezione di molti messaggi contemporaneamente suddividendo il tempo di elaborazione per ciascun messaggio in ragione dei blocchi di dati.
Egli ebbe l'idea di denominare tali parti di messaggio “pacchetto” (packet), ed il sistema di comunicazione “commutazione di pacchetto” (packet switching), alternativa alla “commutazione di circuito” su cui si basavano i sistemi telefonici tradizionali (...).
Tutte queste idee ed intuizioni teoriche, elaborate in sedi diverse e indipendenti, confluirono pochi anni dopo nel progetto “Arpanet”, la progenitrice di Internet.


Bob Taylor, Larry Roberts e l’ideazione di Arpanet

Bob Taylor si era brillantemente laureato in psicologia e matematica, preparando un’ottima tesi di dottorato in psicoacustica. Aveva conosciuto Licklider nel 1963, facendo su di lui un’ottima impressione, e stabilendo una relazione di amicizia e stima reciproca.
Per queste ragioni il successore di Lick all'Ufficio Tecniche di Elaborazione dell'Informazione (IPTO) dell'ARPA, Ivan Sutherland (il padre della computer graphic), lo chiamò come suo collaboratore nel 1965. Pochi mesi dopo anche Sutherland si dimise e Taylor, a soli 34 anni, ne assunse il posto.
Entrando nella sala computer del suo ufficio, Bob si rese conto in prima persona di quanto assurda fosse l'incomunicabilità reciproca che quelle possenti e costose macchine presenti dimostravano.
Possibile non essere in grado di condividere risorse tanto costose, come Licklider aveva più volte suggerito? Spinto da questa profonda frustrazione, Taylor si decise a sottoporre al direttore dell'agenzia, Charles Herzfeld, il finanziamento di un progetto volto a consentire la comunicazione e lo scambio di risorse tra i computer dei vari laboratori universitari finanziati dall'agenzia.

Il progetto, che avrebbe consentito all’agenzia di risparmiare un sacco di fondi, fu naturalmente approvato e lo scienziato ebbe carta bianca. Iniziò così la storia di Arpanet, la rete dell'ARPA.
Come prima mossa, Taylor decise di chiamare a sovraintendere agli aspetti tecnici del progetto un giovane e geniale informatico che aveva conosciuto al MIT, Larry Roberts. Dopo un iniziale rifiuto, Roberts accolse l'invito e si mise subito al lavoro prendendo contatto con i migliori colleghi disponibili sulla piazza, tra cui Frank Heart, il massimo esperto di elaborazione in tempo reale.
Per molti mesi, però, il problema di progettare una rete abbastanza affidabile e veloce da permettere l'elaborazione interattiva a distanza rimase insoluto. Questo finché, verso la fine del 1967, Roberts partecipò ad una conferenza alla quale intervenne un collaboratore di Donald Davies, che illustrò il principio della commutazione di pacchetto, facendo anche riferimento ai lavori precedenti di Baran su questo tema.
Per gli uomini dell’ARPA, fu come trovare l'ago nel pagliaio. Nel giro di sei mesi, Roberts elaborò le specifiche di progetto della rete, facendovi confluire tutte quelle idee che erano rimaste nell'aria per oltre un decennio.
La rete dell'ARPA sarebbe stata una rete a commutazione di pacchetto in tempo reale.
Per migliorarne l'efficienza e l'affidabilità, Roberts accolse nel suo progetto una idea di Wesley Clark: piuttosto che collegare direttamente i vari grandi computer, ogni nodo sarebbe stato gestito da un computer specializzato, dedicato alla gestione del traffico (battezzato “Interface Message Processor”, IMP) al quale sarebbe stato connesso il computer che ospitava i veri e propri servizi di elaborazione.
Dunque, se è vero che il progetto della rete nacque in un contesto militare, la diffusa opinione che essa dovesse fungere da strumento di comunicazione sicuro tra i centri di comando militari nell'evenienza di una guerra nucleare è frutto di un equivoco storiografico. L'obiettivo perseguito da Bob Taylor, in realtà, era quello di aumentare la produttività e la qualità del lavoro scientifico nei centri finanziati dall'ARPA, permettendo ai ricercatori universitari di comunicare e di condividere le risorse informatiche, a quei tempi costosissime e di difficile manutenzione.
Parte dell'equivoco circa le origini belliche della rete deriva dal fatto che nella stesura delle specifiche, Larry Roberts riprese le idee elaborate da Baran all'inizio degli anni 60.


Anno 1969: Arpanet, dalla teoria alla sperimentazione

La fase esecutiva del progetto Arpanet prese il via nel 1969. Dopo una gara di appalto alla quale parteciparono diversi grandi colossi dell'industria informatica del tempo, la realizzazione degli IMP (il vero cuore della rete) venne sorprendentemente assegnata alla Bolt Beranek and Newman (BBN), una piccola azienda con sede a Cambridge, la cittadina nei pressi di Boston dove sorgevano i due istituti universitari più importanti del paese: Harvard e MIT.
Nel corso degli anni, questa piccola società era divenuta una specie di terza università, alle cui dipendenze avevano lavorato tutti i più brillanti ricercatori di quelle grandi università. Quando venne affidato l'appalto dell'ARPA, direttore della divisione informatica era Frank Heart.
Oltre ad essere un valente scienziato, Heart era anche un ottimo manager. Egli dunque assunse in prima persona la responsabilità del progetto degli IMP, creando un gruppo di collaboratori di altissimo livello, tra cui Bob Kahn, uno dei massimi teorici delle reti di computer dell'epoca, che ebbe un ruolo fondamentale nella progettazione dell'intera architettura della rete.
Il primo IMP (delle dimensioni di un moderno frigorifero) fu consegnato alla University of California il due settembre, e fu immediatamente connesso al grande elaboratore SDS Sigma 7 della UCLA senza alcuna difficoltà. Il primo di ottobre fu installato il secondo IMP presso lo Stanford Research Institute (SRI), dove fu collegato ad un mainframe SDS 940.
Il progetto dell'ARPA si era finalmente materializzato in una vera rete, costituita da due nodi connessi con una linea dedicata a 50 kbps.
Dopo qualche giorno fu tentato il primo collegamento tra host facendo simulare al Sigma 7 il comportamento di un terminale remoto del 940.
L'esperimento, seppure con qualche difficoltà iniziale (al primo tentativo, una valvola del Sigma 7 andò in fumo mentre gli scienziati erano appena arrivati a digitare la lettera “g” di “login”), andò a buon fine, e dimostrò che la rete poteva funzionare. Nei mesi successivi vennero collegati i nodi dell'Università di Santa Barbara e dello Utah.
Mentre la BBN si stava occupando dello sviluppo degli IMP, un'ulteriore fucina di cervelli si stava preoccupando dei problemi della comunicazione tra host ed IMP e soprattutto delle possibili applicazioni che la rete avrebbe potuto supportare. L'ARPA aveva deciso che questo aspetto del progetto fosse delegato direttamente ai laboratori di ricerca delle università coinvolte: dopotutto, era un problema loro sapere che cosa fare della rete, una volta che l'ARPA l'avesse realizzata.


Le RFC e lo sviluppo dei primi protocolli di rete

Nei laboratori di quei tempi, l'età media era assai bassa: i professori avevano al massimo dieci anni di più degli studenti ed erano poco più anziani dei dottorandi. Al fine di coordinare le attività, tutti i giovani ricercatori coinvolti decisero di costituire un gruppo comune, che si sarebbe riunito di tanto in tanto per esaminare il lavoro svolto, e lo battezzarono “Network Working Group” (NWG).
Le riunioni del NWG assunsero subito un tono assai informale e cooperativo. Ogni idea, risorsa e strumento che veniva elaborato dai primi utenti-creatori della rete, entrava subito in circolo diventando una ricchezza comune. Uno tra i più attivi nel gruppo era Steve Crocker, della UCLA, che ne assunse la direzione.
Ben presto egli si rese conto della necessità di iniziare a mettere su carta il frutto di tante discussioni.
Fu così che scrisse il primo documento ufficiale del gruppo, dedicato al problema della comunicazione tra host.
Tuttavia, per non esagerare nell'ufficialità, e indicare il fatto che quel documento era solo una bozza da rifinire, Crocker decise di intitolare il suo documento “Request for Comment” (RFC), richiesta di commenti. Questa denominazione dei documenti tecnici è sopravvissuta alla sua storia, ed è usata ancora oggi per siglare le specifiche tecniche ufficiali di Internet (è possibile reperire tutte le RFC all’indirizzo http://www.rfc-editor.org). Il primo risultato prodotto dal NWG alla fine del 1969 era un rudimentale sistema di terminale remoto, battezzato “telnet” (non ancora il telnet oggi in uso, le
cui specifiche risalgono al 1972).
Questo sistema, però, non costituiva una grande novità rispetto ai terminali dei mainframe che già erano in funzione da anni: bisognava trovare un modo per far comunicare gli host da pari a pari, un qualche insieme di regole condivise da computer diversi.
Nelle discussioni spuntò l'idea di chiamare queste regole “protocolli”. Dopo un anno di lavoro, finalmente le specifiche per il protocollo di comunicazione tra host erano pronte: esso fu battezzato NCP (Network Control Protocol). Poco più tardi venne sviluppato il primo protocollo applicativo vero e proprio, dedicato al trasferimento di file da un host all'altro: il File Transfer Protocol, meglio noto come FTP.
Ma l'applicazione che forse ebbe la maggiore influenza nell'evoluzione successiva della rete fu la posta elettronica. L'idea venne per caso nel marzo del 1972 a un ingegnere della BBN, Ray Tomlinson, che provò ad adattare un sistema di messaggistica sviluppato per funzionare su un minicomputer multiutente (fu lui che ebbe l'idea di separare il nome dell'utente da quello della macchina con il carattere '@').
L'esperimento funzionò, e il NWG accolse subito l'idea, integrando nel protocollo FTP le specifiche per mandare e ricevere messaggi di posta elettronica indirizzati a singoli utenti. Nel frattempo la rete Arpanet, come veniva ormai ufficialmente chiamata, cominciava a crescere.
I nodi, nel 1971, erano divenuti quindici e gli utenti alcune centinaia. Nel giro di pochi mesi tutti coloro che avevano accesso ad un host iniziarono ad usare la rete per scambiarsi messaggi. E si trattava di messaggi di tutti i tipi: da quelli di lavoro a quelli personali.
La rete dell'ARPA era divenuto un ottimo sistema di comunicazione tra una comunità di giovani ricercatori di informatica! Intorno alla posta elettronica crebbe anche il fenomeno del software gratuito. Infatti ben presto cominciarono ad apparire programmi (che oggi chiameremmo “freeware”) per leggere i messaggi, sempre più raffinati e dotati di funzionalità evolute, che venivano liberamente distribuiti mediante FTP.
A questo punto, Larry Roberts decise che era giunto il tempo di mostrare pubblicamente i risultati conseguiti dal progetto e affidò a Bob Khan l'organizzazione di una dimostrazione pubblica. L'evento ebbe luogo nell'ambito della “International Conference on Computer Communications” che si tenne nell'ottobre del 1972.
Fu un successo oltre ogni aspettativa. In quell’occasione si decise anche di fondare l’“International Network Working Group”, che avrebbe ereditato la funzione di sviluppare gli standard per la rete Arpanet dal precedente NWG. La direzione fu affidata a Vinton Cerf, uno dei più brillanti membri del gruppo della UCLA.
Poco dopo, Cerf, che nel frattempo aveva ottenuto una cattedra a Stanford, fu contattato da Kahn per lavorare insieme ad un problema nuovo: come far comunicare tra loro reti basate su tecnologie diverse?
In quegli anni, infatti, erano stati avviati anche altri esperimenti nel settore delle reti di computer, alcuni dei quali basati su comunicazioni radio e satellitari (in particolare va ricordata la rete Aloha-Net, realizzata dalla University of Hawaii per collegare le sedi disperse su varie isole, le cui soluzioni tecniche avrebbero dato lo spunto a Bob Metcalfe per la progettazione di Ethernet, la prima rete locale).

Fabio Ruini e Luca Schenetti scrivono al sito http://members.xoom.virgilio.it/tcp_ip/